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venerdì 23 marzo 2018

OTTO DIX E IL TRITTICO DELLA GUERRA

Otto Dix nasce nel 1891 e  fu un artista tedesco formatosi presso la Scuola d’Arte Decorativa di Dresda a partire dal 1910, sino allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, dove lui, interventista convinto, partecipò attivamente sui Fronti Occidentale e Orientale. 
Una presa di posizione politica che mutò a guerra ultimata, quando scosso e traumatizzato dopo quanto vissuto, si professò non solo pacifista, ma addirittura dedicò la sua maturità artistica al racconto della guerra e della vita quotidiana postbellica.


Lo stesso orrore fu denunciato quindi da Otto Dix a fine guerra, secondo una visione artistico stilistica intriso di soggettività emotiva e più intenso di denuncia sociale sotto uno sguardo più oggettivo possibile: un oggettivismo così glaciale però, che non poteva esulare dal toccare alcune corde di forte espressività; un nuovo espressionismo, di stampo tedesco, definito Neue Sachlichkeit (Nuova Oggettività).

Oltre che alla società a lui attuale, il ricordo traumatico di Dix si rivelò in alcune sue opere ben mirate, volte a denunciare i ricordi della guerra vissuta dall’artista: di forte impatto è la serie di acqueforti del 1924, una serie che racconta in una visione macabra quanto accaduto su entrambi i fronti da lui combattuti.

Di forte impatto è Il suicidio in trincea, che raffigura un soldato ormai scheletrico (lo scheletro è il simbolo del male e della morte), morto in seguito alla sua decisione di togliersi la vita, evidentemente colpito da quanto vissuto in prima persona.

Ne IL TRITTICO DELLA GUERRA (1929-1932), Dix, crea una vera e propria apoteosi di morte, sofferenza, strazio e angoscia.



Nel primo dei quattro quadri che compongono il polittico, vengono rappresentati i soldati nel momento in cui giungono sul campo di battaglia. Gli zaini sono gonfi e pesanti, il cielo promette tempesta, una nebbia densa, che forse simboleggia quella che sarà presto prodotta dai gas asfissianti, rende grigio l'ambiente e consente solo di intravvedere sullo sfondo delle rovine


L'opera centrale manifesta esplicitamente la tragedia che imcombeva nel quadro precedente.
 Al centro si vede un cadavere straziato, impigliato nelle rovine di un edificio distrutto dalle bombe. In basso un soldato ridotto quasi a fantasma, avvolto in  un mantello, con il volto celato dalla maschera antigas. Intorno alle figure umane, sono rappresentate con tratti lividi e drammaticamente aggrovigliati  le rovine lasciate dall'esplosione delle bombe: membra staccate dai corpi, polvere, fango, travi bruciate.
Al centro si vede un cadavere straziato, impigliato nelle rovine di un edificio distrutto dalle bombe. In basso un soldato ridotto quasi a fantasma, avvolto in  un mantello, con il volto celato dalla maschera antigas. Intorno alle figure umane, sono rappresentate con tratti lividi e drammaticamente aggrovigliati  le rovine lasciate dall'esplosione delle bombe: membra staccate dai corpi, polvere, fango, travi bruciate.


Nel terzo dipinto viente rappresentato sotto un cielo fiammeggianteun uomo che ha mantenuto tratti riconoscibili, e sembra quasi essere l'ultimo rappresentante dell'umanità, tenta di sollevare un cadavere, ma la desolazione del paesaggio ci  fa capire che il tentativo di salvarsi dal baratro della guerra è destinato all'insuccesso. 



L'ultimo quadro rappresenta una cassa in cui sono accumulati cadaveri ormai in decomposizione: la tragedia trova il suo compimento.














FONTE: 

lunedì 5 marzo 2018

"LA ZATTERA DELLA MEDUSA" 
di Théodoré Géricault
(1819)

zattera-gericault


LA STORIA

Il dipinto racconta il naufragio della fregata francese Medusa, in navigazione verso l’Africa, arenatasi su un banco di sabbia al largo del Senegal il 2 luglio 1816.


zattera-piantaIl racconto è ovviamente tragico, una cronaca drammatica dei dodici giorni di deriva della zattera allestita per i 147 naufraghi che non avevano trovato posto nelle scialuppe.
La zattera era lunga 20 metri e larga 7 e presentava una vela ingovernabile. I viveri a bordo erano pochi e ben presto l'imbarcazione divenne un inferno galleggiante.

Il 17 luglio, dopo tredici giorni in balia del mare, la nave Argo raggiunge la zattera. I superstiti sono solo quindici (ma altri cinque muoiono poche ore dopo i soccorsi).
Tra loro il medico di bordo Henri Savigny e il geografo Alexandre Corréard, coloro che racconteranno al mondo le atrocità che vissero in quel terribile viaggio.
IL DIPINTO
Poco tempo dopo il giovanE artista Théodore Géricault sentito parlare dell’episodio e affascinato dalla tragedia del naufragio, decide di dedicare un’enorme tela,  alle ultime ore della zattera, quelle prima della salvezza.
Presentato al Salon di Parigi dello stesso anno con il titolo generico di “Scena di un naufragio” (ma tutti avevano capito di quale naufragio si trattasse), suscitò grande scalpore: qualcuno ne fu immediatamente stregato per la grande emozione che ne suscitava e qualcun altro ne vide una rappresentazione della società del tempo, in balia della confusione post-napoleonica.
LA COMPOSIZIONE
Per dare maggior risalto all'evento, l'artista, sceglie di costruire il dipinto nascondendo in esso delle diagonali che danno origine a due piramidi, la prima che ha per vertice l'apice della vela e la seconda che ha per vertice il naufrago che sventola la camicia.

Théodore Géricault, La zattera della Medusa, 1818, Parigi, Louvre
Il pittore dimostra molta attenzione per le anatomie (che studia su modelli ma anche cadaveri) che rimanda alle opere di Michelangelo. L'opera è drammatica e realistica, i colori sono cupi e hanno forti contrasti chiaroscurali.
zattera-torso
È una scena talmente coinvolgente che, ovviamente, è diventata un’icona dell’arte in pochissimo tempo.

Ripresa nei fumetti e nella pubblicità è stata rivisitata in tutti i modi possibili…
zattera-oggi

FONTI: www.didatticarte.it
       www.slideshare.net/giulia1247/gericault-delacroix